domenica 29 luglio 2012

Avverbi

Ci sono avverbi di modo, ma anche di tempo, di luogo, di quantità, di valutazione.
La maggior parte degli avverbi non è seguita da particelle.
Molti aggettivi possono essere trasformati in avverbi (avverbi aggettivali, uso avverbiale dell’aggettivo):
  • Agg-i à -ku (es. hayai à hayaku; ureshii à ureshiku)
  • Agg-na à -ni (es. shizukana à shizukani)

Nota: ii à yoku. Yoku traduce sia “bene” sia “spesso”.

Qualche consiglio per la traduzione: spesso si può tradurre in italiano con la forma –mente, ma in alcuni casi, più che al modo in cui si attua un’azione, ci si riferisce allo stato risultante da quell’azione (e quindi la traduzione va adattata di conseguenza).
Inoltre alcuni termini in ku non fungono da avverbi, ma da sostantivi (es. chikaku no mise, un negozio vicino).

Frequenti sono le forme avverbiali raddoppiate, spesso con effetti onomatopeici (たびたび, a volte; ぴかぴか e きらきら, in modo scintillante; にこにこ, con il sorriso; ぽっく, improvvisamente, するする, dolcemente [scorrendo, scivolando]; ecc.).
Spesso, specialmente per le forme onomatopeiche, è usata la particella "come se".
L’avverbio va collocato prima del verbo o dell’aggettivo che va a “modificare”, o anche a inizio frase.

Alcuni avverbi di uso comune: zenbu (completamente), ima (ora), sukoshi (un po’), mou sugu (presto), sou (così), totemo (molto), kanari (abbastanza), amari (molto, con forma negativa).

Ci sono anche avverbi verbali (o, meglio, un uso avverbiale del verbo) e nominali. Li esamineremo in un altro post.

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