Ci sono avverbi di
modo, ma anche di tempo, di luogo, di quantità, di valutazione.
La maggior parte degli avverbi non è seguita da particelle.
Molti
aggettivi possono essere trasformati in avverbi (avverbi aggettivali, uso
avverbiale dell’aggettivo):
- Agg-i à -ku (es. hayai à hayaku; ureshii à ureshiku)
- Agg-na à -ni (es. shizukana à shizukani)
Nota:
ii à yoku. Yoku traduce sia “bene” sia “spesso”.
Qualche consiglio per la traduzione: spesso si può
tradurre in italiano con la forma –mente,
ma in alcuni casi, più che al modo in cui si attua un’azione, ci si riferisce
allo stato risultante da quell’azione (e quindi la traduzione va adattata di
conseguenza).
Inoltre alcuni termini in ku
non fungono da avverbi, ma da sostantivi (es. chikaku no mise, un negozio vicino).
Frequenti sono le forme avverbiali raddoppiate, spesso con effetti onomatopeici (たびたび, a volte; ぴかぴか
e きらきら, in modo scintillante; にこにこ, con il sorriso; ぽっく, improvvisamente, するする,
dolcemente [scorrendo, scivolando]; ecc.).
Spesso, specialmente per le forme
onomatopeiche, è usata la particella と "come se".
L’avverbio
va collocato prima del verbo o dell’aggettivo che va a “modificare”, o anche a
inizio frase.
Alcuni avverbi di uso comune: zenbu (completamente), ima (ora), sukoshi (un po’), mou
sugu (presto), sou (così), totemo (molto), kanari (abbastanza), amari (molto, con
forma negativa).
Ci sono anche avverbi verbali (o, meglio, un uso avverbiale del verbo) e nominali. Li esamineremo in un altro
post.
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